La storia, soprattutto in ambito sportivo, è ricca di esempi in cui si ritiene che, per vincere o per creare un’azienda di successo, sia sufficiente comprare i migliori giocatori ovvero poter contare su soci in grado di sostenere investimenti milionari (o miliardari). Ma sempre la storia ci consegna storie di grandi insuccessi o grandi fallimenti, nonostante la presenza di fenomeni in campo o diiniziative imprenditoriali nate sotto i migliori auspici. Segno evidente che una semplice “somma aritmetica” non è garanzia di successo o di raggiungimento di obiettivi, come ben rappresenta una frase, passata alla storia (almeno sportiva): erano gli anni 80 e ad una domanda da parte di un giornalista, in cui si faceva riferimento “all’amalgama”, l’allora Presidente del Catania Calcio (peraltro non certo il Real Madrid o il Bayern Monaco), Angelo Massimino, rispose: “ditemi dove gioca che lo compro”.
Né più né meno, fatti i debiti riferimenti, quanto affermato ieri, durante la presentazione di un libro, dall’ex premier Mario Draghi, tornato ancora una volta a parlare di Europa. Al di là delle sue competenze e il suo prestigio, va dato atto al nostro “supermario” di parlare un linguaggio semplice, che tutti possono comprendere, lontano dai bizantinismi della politica.
Affrontando l’argomento che tanto gli sta a cuore, sostanzialmente ha detto ciò che in molti pensiamo: “l’Europa fa fatica perché lontana dall’idea di un’entità politica unica. Il modello di crescita si è dissolto e bisogna reinventarsi un modo di crescere, ma per fare questo occorre diventare Stato”. E ha proseguito, per rendere ancora più chiaro il concetto, con un esempio: per i farmaci, negli Usa, c’è solo un’agenzia, in Europa 26. Toccando altri temi molto attuali, come la crisi israelo-palestinese, poi, ha espresso un concetto altrettanto fondamentale: “dovrà (sempre l’Europa) fare qualcosa in più, non basta mettere soldi”. E qui un’altra “stilettata” sulla quasi inesistente credibilità militare. Ben vengano, quindi, il Next Generation Eu-PNRR, gli acquisti, anche se oramai quasi terminati, da parte della BCE, di titoli governativi, gli interventi per rimodulare alcune regole (vd il Patto di stabilità, per citare quello più ricorrente in queste settimane), ma sino a quando non cambierà lo “spirito”, ci ritroveremo sempre a “rincorrere”: a rincorrere la crescita, a rincorrere modelli di sostenibilità, a rincorrere qualità di vita.
Se ci limitiamo al primo punto, potrà non sembrare casuale il fatto che, nel terzo trimestre dell’anno, l’economia Usa sia cresciuta di ben il 5,2%, superando non di poco le già ottime stime, che si fermavano al 4,9%, con una soglia del 5%. Un livello che li mette al riparo da qualsiasi rischio recessivo, superando anche la crescita cinese, ferma quella sì al + 4,9% nello scorso trimestre. A corroborare la fiducia, il fatto che l’inflazione continui la sua discesa, portandosi sempre più nei pressi del target 2%. Unico elemento meno positivo la diminuzione dell’aumento dei consumi, passati dal + 4% al + 3,6%. Tutti elementi che spingono gli analisti a ritenere che il taglio dei tassi, negli Usa, possa essere più vicino di quanto fin qui ritenuto, con addirittura una previsione di 5 riduzioni da 25 punti base, per un totale di 1,25%. Se così fosse, quindi, tra circa 12 mesi avremo, dall’altra parte dell’oceano, tassi del 4-4,25% (oggi siamo al 5,25-5,50%). Motivo per cui oggi vediamo i rendimenti dei treasury oramai scivolati al 4,25/28%, quando non più tardi di un mese fa, erano arrivati a toccare il 5%. I mercati, quindi, comincia a scontare una Banca Centrale americana che torna ad essere espansiva, dopo 18 mesi di rialzi (e altri 2 di “ingessamento”). Per l’anno prossimo (stime OCSE) la crescita statunitense dovrebbe aggirarsi sull’1,5%, un po’ meno del doppio di quella dell’Eurozona (+ 0,9%). L’Italia torna verso in quella che, calcisticamente, viene definita “la parte destra della classifica” (quindi verso il fondo), con una crescita che non dovrebbe superare (sempre stime OCSE) lo 0,7%. Mentre la crescita globale si attesterà intorno al + 2,7%.
Sempre in tema di dati “macro”, oggi sono attesi quelli di “Eurolandia”: a guardare quelli tedeschi e spagnoli, pubblicati di ieri, viene da pensare che assisteremo ad una nuova, generalizzata, discesa. In Germania, infatti, l’indice armonizzato si è fermato al 2,3%, mentre in Spagna risulta essere un po’ più alto (+ 3,2%). Le attese, per quanto riguarda l’Europa, sono per una discesa al 2,7%, dal 2,9% di ottobre, con una “core inflation” (al netto dei generi più “sensibili”, energia e alimentari) al 3,9% (dal 4,2% precedente). Ma la cosa più importante è sono sempre di più gli osservatori (tra cui Standard & Poor’s) che prevedono un soft landing per l’area Euro, con la BCE che potrebbe prendere in seria considerazione , a partire dalla metà dell’anno prossimo, l’inizio del taglio dei tassi.
Giornata di rialzi per gli indici asiatici. Dopo un avvio di contrattazioni debole, tutti i mercati si sono portati in territorio positivo.
A guidare i mercati il Nikkei a Tokyo, in salita dello 0,50%, che porta il rialzo del mese di novembre a + 8,50%.
Vanno “a braccetto” gli indici di Shanghai e, a Hong Kong, l’Hang Seng, entrambi a + 0,26%.
Intorno alla parità, a Seul, il Kospi, che chiude il mese a + 10,8%.
Futures sostenuti su entrambe le sponde dell’oceano, con rialzi compresi tra lo 0,20 e lo 0,35%.
In ripresa il petrolio, con il WTI tornato sopra i $ 78 (78,09, + 0,17% anche questa mattina).
Gas naturale Usa $ 2,831 (+ 0,71%).
Oro in leggero ribasso (– 0,19%, $ 2.065) dopo essere stato ad un passo dal record storico.
Torna a scendere lo spread (173,9) dopo i dati previsionali su inflazione e crescita.
BTP al 4,17%, in ulteriore discesa.
Bund 2,43%.
Treasury al 4,26% nei primi scambi di giornata.
In leggero recupero il $, con €/$ a 1,0964.
Bitcoin in leggero ribasso, a $ 37.854.
Ps: parliamo di clima. Più che parlare, però, riportiamo alcuni numeri:
aumento della temperatura rispetto a 200 anni fa : + 1,3 gradi; perdite economiche globali causate dal clima: $ 3,9 mila miliardi; innalzamento annuo degli oceani: 4,4 millimetri; 6 anni il tempo che impiegheremo per arrivare a + 1,5° di surriscaldamento; € 6,4 mila miliardi i sussidi statali a livello globale assegnati alle aziende petrolifere nel 2022; 6,6 mila kmq (un’area vasta come la Lituanua) la superficie di foreste abbattute nel 2022; € 4,5 mila miliardi gli investimenti che sarebbero annualmente necessari per riportare il pianeta in “sicurezza”; 43% la percentuale di riduzione di emissioni di gas serra da qui al 2030 imposta dall’ONU.
Meglio fermarsi qui.